Per il compleanno di Luciano siamo andati al lago Louise, sulle Montagne Rocciose.

Abbiamo camminato sulle acque, facile tutto sommato quando un metro di ghiaccio ti separa da quelle ancora in burbuglio lì sotto… Ci siamo sentiti bene e soli nella culla del mondo, camminando guantone nel guantone come gli innamoratini di Peynet, ma poi è arrivata un’armata di giapponesi a rompere l’idillio e allora ci siamo avventurati nel vialetto sotto la montagna, più tranquillo e meno rumoroso.

Non solo sulle acque si cammina al lago Louise, anche sulle cascate. C’erano due alpinisti che si arrampicavano sull’azzurro dell’acqua congelata nel movimento. Scena apocalittica, ancora un po’ e perdevo i sensi a guardarli.

Luciano è piuttosto rilassato quando cammina sulla neve e sul ghiaccio, io mi sento come su una distesa di gnocchi appena fatti. Da non calpestare. E ovviamente lui mi sciorina tutte le sue teorie. Vedi, mi spiegava quella mattina, devi mettere i piedi dove ci sono i sassolini, quelli creano attrito e tu vai tranquilla perché così non… cadi… Solo che l’ultima parola è stata mormorata a labbra strette mentre cercava di rialzarsi dallo scivolone che quel birbaccio di un sasso gli aveva provocato.

Al ritorno al parcheggio – accuratamente ricoperto da un lastrone di ghiaccio e che noi abbiamo raggiunto per vie traverse – abbiamo trovato un gruppo di gente indaffarata intorno ad una macchina slittata in una cunetta. E mo’ come facciamo? sgrano gli occhi io, già in preda ad un attacco di ansia. Non preoccuparti, consola lui serafico, e allora per dominare il panico mi distraggo a guardare un trio di donne della mia età, Camminano con assoluta sicurezza mentre io, se mi azzardo appena con la punta dello zampone, sento già strette invisibili che mi trascinano a capofitto sul ghiaccio.

Come fate? chiedo alle tre e quelle senza vanagloria mi mostrano la pianta dei piedi. Attaccati agli scarponi-stivaloni hanno degli aggeggi di metallo che pare creino una presa inattaccabile sul ghiaccio più astuto. Ed a giudicare dal modo come le tre si muovono –confidenza, semplicità e noncuranza – qualcosa quei ramponi devono pur fare.

Dove li avete comprati? m’informo subito e, soddisfatta della risposta, li vedo già incollati ai miei piedi imbranati.

Ma non c’è nemmeno bisogno di recarsi al negozio in periferia, li trovo sotto casa.

Vittoriosa li porto a casa come un oggetto sacro e muoio dalla voglia di provarli subito. Mica facile affibbiarli agli scarponi, quelli se ne scappano come da una prigione! Borbottando a denti stretti già mi ci vedo per strada, con i ramponi da ghiaccio che si staccano ed io in equilibrio precario che cerco di rimetterli a posto. Ma forse sono inutilmente pessimista. Dopo solo undici minuti di trattative il fondo scarponi è bell’e incapsulato ed io sono prontissima ad infilarli. Sulla moquette riesco a muovermi, anche se a disagio, ma appena dal corridoio mi avventuro sulle scale ricoperte di linoleum, non scivolare è una prodezza da equilibrista.

Come se avessi ambedue le gambe inservibili mi aggrappo alla ringhiera e mi lascio ruzzolare, pregando ovviamente che l’angelo custode non si distragga. Non vedo l’ora di essere sul ghiaccio – o meglio – di abbandonare il linoleum. E meno male che l’atrio dell’immobile è ricoperto da uno strato di moquette spessa, altrimenti sai che cascatone!

Non c’è nessuno intorno, cammino come un elefante, issata sui ramponi come su paletti di ferro. Anche sul ghiaccio non funzionano, no, sono troppo alti, due pollici di ferro attorcigliato sotto i piedi, no, no, non sono nata acrobata. Eppure quelle donne al parcheggio sembravano così a loro agio. Vuoi vedere che ci sono altri tipi, magari più bassi, magari con meno ferro attorcigliato, su cui non mi sento come su due pioli?

Mi tolgo gli aggeggi e passo all’attacco. Comincio con una marea di telefonate. Alcuni negozianti non capiscono nemmeno cosa cerco – e neanche io so esattamente che cosa voglio – ma da un centro di attrezzi per alpinisti mi rispondono che ne hanno almeno di tre tipi. E così, col timore di scivolare, ma nella speranza di dominare, cammino, saltello, devio, affondo, evito, ritraggo e finalmente arrivo.

Sì, hanno tre tipi di ramponi, ma il primo è esattamente come quello che ho comprato (e già riportato al negozio sotto casa. Che bello il Canada. Puoi riportare tutto, angurie, birre, vestiti, libri, televisori, divani, chissà se anche la vita ti consentono di riportare, questa non mi piace, voglio provarne un’altra, oppure, posso tenerla per una settimana e poi decidere?) e quindi scarto la prima scatola come un animale infetto; il secondo e il terzo modello sembrano uguali, ma ci sono piccole differenze e non solo di prezzo e di marca. Non ho elementi per l’uno o l’altro paio e decido in base all’istinto e al prezzo… se sembrano uguali e costano di meno perché spendere di più?

Questa volta non torno a casa vittoriosa, ma meditabonda – e se sono scomodi come gli altri – e se mi faranno sentire sui trampoli – e se sono difficili da mettere.

Difficili sì, sono difficili da affibbiare agli scarponi, ma l’acciaio, o l’alluminio, ferro, amianto… arrotolato, pur essendo più spesso è meno alto, quindi forse non perderò l’equilibrio come su quegli altri. Non mi allontano molto da dove abito, le prove le faccio sotto casa, sotto gli sguardi degli operai che lavorano giorno e notte per costruire qui a fianco un palazzone e che si chiederanno, vedendomi andare su e giù sugli stessi tre metri di ghiaccio, se per caso non stia cercando oro lì sotto, o la cacca del cane del vicino congelata.

Questi ramponi vanno così decisi all’attacco che s’incastrano nel ghiaccio e non ne vogliono sapere di staccarsi ed avanzare. E no, non è possibile, i miei piedi sono incollati, sono immobile nel tempo e nello spazio, se ci penso un secondo di più precipiterò come corpo vivo cade. Mi do coraggio, altrimenti mi metto a gridare come un’isterica, mi arrabbio e spingo e muovo e vengo fuori e lo sforzo per poco non mi manda a gambe all’aria. Questi aggeggi… io!… immediatamente li riporto al negozio! ma lo denunzio quel venditore, in tribunale lo porto, insieme alla ditta che li ha fatti, ma questi sono assassini, omicidi stanno commettendo! Infuriata mi sfurio per strada e la rabbia sbolle quando i commessi si danno a scuse (ancora un po’ e mi portano fuori a cena) e mi propongono l’ultimo paio senza nemmeno pagarlo, per prova e regalo.

L’ultimo paio non si attacca al ghiaccio come una sanguisuga, ma quello strato di acciaio e gomma rombato e zigrinato che mi agguanta gli scarponi premendomi sulla punta e al calcagno non è proprio la cosa più confortevole di questo mondo e così miseramente finisce il mio tentativo, pur agguerrito, di dominare le insidie gelate.

Ma chissà quelle tre donne come facevano!